Andrew’s Scenic Acres


Virata ad ovest, direzione campagna. Poteva essere una domenica come un’altra, una domenica di quelle che nascono incerte e possono continuare insipide. Ma non lo è stato. Dinanzi a noi l’Ontario ‘(y)ours to discover’ (nostro da scoprire) e dietro il pargolo, immobilizzato nel suo seggiolino dalla stretta di un doppio giro di cinture che tanto tranquillizza la ‘zia’ canadese!
Superstrade, bivi, svincoli e auto in coda da evitare. Anche qui, come in patria, il giorno festivo è sinonimo di fuga dall’urbano. ‘Chinchin’ pronuncia il piccolo, nella sua lingua che cerca interpreti. Mi commuove sapere che ora un’auto ed un seggiolino abbiano per lui il sapore dell’avventura e che le mille avventure non siano valse come la sola, l’unica e la più importante, quella incrostata di selvatichezza e scomodità, eppure così intensamente vissuta ed ora tanto agognata: Alconquin Park!
Distesa orizzontale dell’occhio che guarda lontano. Campi. Distese di campi arati e casolari in legno. Ogni tanto un grido, una frenata e pronti a spalancare la portiera per correre a fotografare… quello scorcio, quel minuto, quell’incanto! Mangiamo uva, mentre a tutto volume rimbomba nell’abitacolo walzer e polKa di una band del basso veneto – CD originale gelosamente custodito dal padre della Zia. Mi assale un vortice di pensieri ed ho voglia di urlare, ma invece ballo e danzo come se mi sentissi stretta in quel ‘caschè’ tanto cantato da Guccini. C’è l’odore di una balera anni ’60, il rossore timido degli alberi in autunno ed un inno alle mie amiche e alla bellezza tutta femminile.
La meta è raggiunta. Questa è una fattoria della pianura Ontario. Abbiamo di fronte i girasoli e a lato un trattore che ci porta negli orti per masticare sapori di terra.
Accanto a me una donna, battezzata profanamente Zia, ha le tette piene di paglia. Salta, ride, gioca e si nasconde tra le balle di fieno. La guardo e la scopro bimba ed amica.
Il piccolo è un sorriso pieno, è una capriola di energie che si affaccia su questa terra d’oltreoceano. Eppure oggi a me il cielo pare quello delle mie origini. È un manto di azzurro intenso costellato da nuvole che a vederle sembra quasi di poterle toccare.
Le mani sono rosso sangue e il pargolo ha scoperto il gusto dei lamponi. Quelli ancora caldi di pianta, gonfi e vellutati, che schizzano in bocca appena incontrano le labbra. Non distoglie lo sguardo dagli arbusti ed è ben concentrato per raccogliere solo quelli rossi rossi. Tiene stretto il cestino: lui ama i suoi lamponi e li guarda, come se sapesse contarli.
Pian piano il pomeriggio si avvicina alla sera. Vicino ai fiori, l’arancione delle zucche e la Zia fa un regalo alla famiglia. Scegliere una zucca è un divertimento. Ognuna è personaggio, una faccia, una presenza. La nostra è là, tra le tante, ad aspettarci. Il piccolo prova a sollevarla, ma è… graaandeee e non ce la fa.
Il resto è un ritorno e nel portapacchi una zucca da portare a papà.

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